“Un mugnaio era caduto poco a poco in miseria e non aveva più che il suo mulino e, dietro, un grosso melo. Un giorno, che era andato a fare legna nel bosco, gli si avvicinò un vecchio che non aveva mai visto, e gli disse – Perché ti affanni a spaccar legna? Io ti farò ricco, se mi prometti quel che c’è dietro il tuo mulino. […] Quando il mugnaio arrivò a casa, sua moglie gli andò incontro e gli chiese: – […] come è piovuta in casa nostra questa improvvisa ricchezza?[…] – Da uno sconosciuto, che ho incontrato nel bosco e che mi ha promesso grandi tesori; in cambio, mi sono impegnato per iscritto a cedergli quel che c’è dietro il mulino: possiamo ben dargli il grosso melo! – Ah marito, – disse la donna spaventata, – Era il diavolo! Non intendeva il melo, ma nostra figlia, che spazzava dietro il mulino.”


 

Il mugnaio e il Diavolo

La fiaba, La Fanciulla senza mani, secondo l’analista e scrittrice Clarissa Pinkola Estés, è rappresentativa di tutti gli aspetti della vita femminile, coprendone molte delle sfaccettature della psiche di una donna.
La storia è strutturata in modo tale che gli ascoltatori partecipino alle sofferenze e alle prove a cui è sottoposta l’eroina durante tutto il racconto, giungendo poi ad un meritato lieto fine.
Nella prima parte della narrazione ci viene presentato per primo il padre, un mugnaio impoveritosi che, in maniera molto maldestra ed affrettata, spinto da avidità stringe un patto con il Diavolo. Egli pensava di essersi arricchito in cambio di un semplice melo, ed invece incautamente aveva ceduto la propria figlia al Demonio.
La figlia è un essere pio, amabile ed innocente, però non ha intraprendenza personale, tanto che sarebbe capace di passare tutta la sua vita a spazzare nel cortile dietro la sua casa.
Il padre, simbolo della funzione della psiche che dovrebbe guidare nel mondo esterno, tradisce, senza saperlo, la figlia. Proprio come ne La Bella e la Bestia, l’inizio di tutto scaturisce da un padre che mette in pericolo la sua stessa figlia.

   “Dal lato affettivo egli trascura sua figlia e non trova il tempo di parlarle e di giocare con lei. Secondo la fiaba, la figlia di tale padre, che non è stata nutrita dalla funzione dell’Eros paterna, è venduta al diavolo, cioè prende possesso di lei un Animus demoniaco, un intellettualismo distruttivo, in una forma o in un’altra.

Il mulino ed il mugnaio sono simboli di una mente che macina idee che diventano pensieri utilizzabili, spiega Clarissa Pinkola Estés, ma nella storia qualcosa non va, perché il mulino non lavora ed il proprietario si è impoverito. La psiche, quindi, di trova impoverita senza idee da elaborare, impoverita e ferma, ad un vero punto morto. Il secondo personaggio è il Diavolo, che simboleggia la forza oscura della psiche, attirato dalla purezza e dalla luminosità della Fanciulla. Arriviamo quindi a conoscerla, questa splendida ragazza, bloccata in uno stato di sonnambulismo della mente, intenta a spazzare il pavimento dietro il mulino, senza alcuna prospettiva futura, ma con un’anima ed una luce interiore capace di richiamare il Diavolo.

“Spirato il termine, il giorno che il Diavolo doveva venirla a prendere, ella si lavò per bene e tracciò col gesso un cerchio intorno a sé. Il Diavolo comparve di buon mattino, ma non poté avvicinarla. Incollerito disse al mugnaio: – Portale via tutta l’acqua, che non possa più lavarsi; se no, non ho alcun potere su di lei. – Atterrito il mugnaio obbedì. La mattina dopo il diavolo tornò, ma ella aveva pianto sulle sue mani, che erano pulitissime. Di nuovo egli non poté andarle vicino […].”

Nelle favole le lacrime hanno una funzione di purificazione, sono infatti capaci di cambiare le persone, ricordando loro cosa sia veramente importante. Le lacrime non sono solo il sentimento espresso, ma attraverso di queste possiamo conoscere una visione diversa.
Durante quei tre anni la fanciulla ha vissuto serenamente, senza raggiungere la consapevolezza di quel baratto che la vuole come novella Ifigenia, figlia sacrificale che il padre ha barattato in cambio di ricchezze.
Il lavarsi ed è il tracciare attorno a se stessa un cerchio protettivo è una chiara allusione alle antiche religioni della Dea Madre. La fanciulla compie ciò in maniera quasi inconsapevole, guidata dall’eco delle epoche passate.
L’acqua è un repellente per il Diavolo, e quando essa si trova a non poterla più usare per purificare il suo corpo, usa le lacrime per rendersi pura e quindi intoccabile.

“-Tagliale le mani; se no non posso fare nulla. – il padre inorridì e rispose: – Come potrei tagliar le mani a mia figlia!- Allora il Maligno lo minacciò e disse: – Se non lo fai, sei mio, e prendo te. – Spaventato, il padre promise di obbedirgli. Andò dalla fanciulla e le disse: – Bimba cara, se non ti mozzo le mani, il diavolo mi porta via, e nello spavento gli ho promesso di farlo. Aiutami nel mio affanno e perdonami il male che ti faccio. – Ella rispose: – Caro babbo, fate di me quel che volete, son vostra figlia. – Porse le mani e se le lasciò mozzare. Il diavolo tornò per la terza volta, ma ella aveva pianto e così a lungo sui moncherini, che erano pulitissimi. Allora egli dovette andarsene; aveva perduto ogni diritto su di lei.”.

L’elemento paterno della psiche non è ancora maturo, e credendo di difenderla le mozza le mani, intera forza creatrice della psiche stessa. La figlia si sottomette placida alla profanazione del suo corpo e della sua mente, lasciando sacrificare una parte di lei. Le mani non ricevono soltanto, ma trasmettono, per questo il predatore della psiche, il Diavolo, vuole che alla fanciulla siano amputate proprio le mani, per sottometterla e renderla incapace di qualsiasi attività. Ancora adesso, quando diciamo che una donna ha la mani mozze intendiamo una persona incapace di prendersi cura di se stessa, oltre che ben poco volenterosa di costruirsi un futuro autonomo distante dal passato tranquillo in cui è cresciuta.
Sconfitto il Diavolo ci si aspetterebbe che la fanciulla rimanga nella casa paterna, circondata dagli agi dovuti al patto con il maligno, invece ella decide di andarsene e di sopravvivere, senza mani, nel mondo esterno, inseguendo il suo destino.

 

Il viaggio

Il suo abbandonare la casa ove è cresciuta, è il desiderio di allontanarsi dalla figura materna, praticamente marginale, e da quella paterna, entrambi aspetti collettivi ed egoistici della psiche, che ormai non esercitano più alcun potere sulla figli. Affamata e stremata ella giunge, guidata da un Angelo o da uno spirito bianco a seconda delle versioni della fiaba, alle porte del giardino del re. Aiutata da un essere superiore, che chiude la cataratta, asciugando il fossato attorno, ella può accedere al giardino e nutrirsi con una pera. La fanciulla si ciba di un frutto considerato prettamente femminile, in netto contrasto con l’unico albero dietro al mulino, un melo, i cui frutti sono considerati simboli maschili.

Al contrario della storia raccontata nella Genesi, dove Eva rubò la mela spinta dal diavolo, la fanciulla, con il suo furto, è ricompensata infatti conosce il Re che si innamora di lei, ed oltre e prenderla in sposa, salvandola dalla miseria e dalla fame, le dona due mani d’argento.

“[…] la fanciulla rappresenta la psiche sincera, e prima dormiente. Ma un’eroina-guerriera sta sotto la sua dolce apparenza esteriore. Ha la resistenza della lupa solitaria. Sa sopportare sporcizia, sudiciume, tradimento, ferite, solitudine, e l’esilio dell’iniziata. Sa vagare nell’oltretomba e ritornare, arricchita, al mondo di sopra. […] Il re rappresenta un tesoro di sapienza ritrovato nell’oltretomba. Ha la capacità di portare nel mondo la conoscenza interiore e d metterla in pratica, senza affettazione, senza borbottii, senza scuse. Il re è figlio della regina madre/vecchia. Come lei, e probabilmente seguendone la guida, è coinvolto nei meccanismi del processo vitale della psiche; il mancamento, la morte e il ritorno della consapevolezza. […] La regina madre/vecchia in questo racconto è la madre del re. Questa figura rappresenta molte cose, tra cui la fecondità, la grande autorità nel vedere nei trucchi del predatore, e la capacità di attenuare le maledizioni.”.

 

Le prove

Nuovamente, potremmo credere conclusa la fiaba, ma invece la calma data dal matrimonio tra il re e la fanciulla, adesso dotata di splendide mani d’argento, non è che un nuovo inizio da cui la narrazione non fa che continuare. In attesa del loro primo figlio, la fanciulla è affidata alle cure della madre del re, mentre il re parte per la guerra.

“La regina diede alla luce un bel maschietto. Allora la vecchia madre s’affrettò a scrivere al re e gli annunciò la lieta notizia. Ma per via il messo si riposò accanto a un ruscello e, stanco del lungo cammino, s’addormentò. Allora venne il diavolo, che cercava sempre di nuocere alla buona regina, e scambiò la lettera con un’altra, in cui era detto che la regina aveva partorito un mostro. Quando il re lesse la lettera, si spaventò e si rattristò molto, ma rispose che avessero cura della regina fino al suo ritorno. Il messo tornò indietro con la lettera, si riposò nello stesso luogo e s’addormentò un’altra volta. Allora tornò il diavolo e gli mise in tasca un’altra lettera, che ordinava di uccidere la regina e il bimbo. La vecchia madre inorridì leggendo quella lettera, non poté crederci e scrisse di nuovo al re, ma non ebbe altra risposa perché ogni volta il diavolo diede al messo una lettera falsa; anzi, nell’ultima ordinava di conservar la lingua e gli occhi della regina come prova della sua morte.”.

La madre del re si oppone a quello che appare essere il volere del figlio, e dopo un commovente addio, la fanciulla si avvia nuovamente vagabonda, dopo che la suocera ha assicurato il bambino sulla sua schiena, secondo la versione dei Fratelli Grimm, o al petto, in modo tale che il bimbo possa nutrirsi, per altre versioni della fiaba.
Come Barbablù o Protesilao, anche qui il Re poco dopo le nozze si ritrova a dover partire, e questo è spiegato da Clarissa Pinkola Estés : “l’energia regale della psiche ricade e recede in modo che possa verificarsi il passo successivo del processo, e sia sottoposta a debita prova la posizione psichica appena trovata dalla donna. Nel caso del re, non l’ha abbandonata, poiché la madre veglia su di lei in sua assenza.“.
Il continuo addormentarsi del messaggero in prossimità di un ruscello, richiama alla memoria le antiche religioni, come quella greca dove diversi fiumi scorrono nel regno dei morti, come il Lete, lo Stige, il Cocito, l’Acheronte e il Flegetonte. Il messaggero, che si addormenta durante il suo compito, quello di far comunicare il re con la madre, componenti della nuova psiche, è incapace di difendersi dalla forza distruttiva e seduttiva della psiche, cioè il diavolo.
Nella versione dei Fratelli il Grimm il bambino era maschio, e portava il nome di Doloroso, mentre in un’altra versione, quelle più vicine alla religione della Dea, era femmina e portava il nome di Gioia. Seguendo questa seconda versione, quella dell’antica Dea, la neonata è assicurata, dalla nonna paterna, al seno della madre, ricco di nutrimento; la fanciulla senza mani viene, sempre dalla suocera, avvolta in candidi veli, proprio come l’antica Dea quando partiva per un pellegrinaggio sacro. Il velo, che ritroveremo, più avanti nella fiaba sul volto del re, è un chiaro riferimento al mondo antico dove il velo era la differenza tra nascondersi e travestirsi. É simbolo dell’esclusione per concentrarsi unicamente su se stessi o sul proprio scopo.

La casetta nel bosco e il Sè bambino

Dopo il doloroso e pianto addio, la fanciulla senza mani giunge in un bosco, vasto e senza sentieri, dove nuovamente è guidata, da un angelo o da uno spirito bianco, sino ad una casetta, o ad una locanda, ove campeggiava la scritta “qui si alloggia gratuitamente.

Nel bosco la regina trascorrerà sette anni felice, assieme al suo bambino e miracolosamente le sue mani ricrescono, in alcune versioni della storia ciò avviene quando il bambino cade nell’acqua, di un pozzo o di un ruscello, e la madre urla disperata affinché qualcuno l’aiuti a salvare la sua creatura, ma un vecchietto, o uno spirito, le dicono di provare lei stessa a salvare il bambino, e quando la fanciulla riemerge le braccia dall’acqua, le mani sono ricresciute e stringono il piccolo sano e salvo. In questa parte della storia, poiché la fanciulla ha bisogno di curare se stessa ed il piccolo Sé-bambino, ella necessita della mani per custodire il proprio avanzamento.
Vivere nella foresta è una metafora della profonda immersione psicologica nella propria interiorità, libera da ogni costrizione sociale la fanciulla può scoprire se stessa.

Nel distacco, altrove, nella casa dove l’ospita una vergine vestita di bianco, si può ricominciare e ritrovare l’innocenza. Quando la fanciulla senza mani matura la consapevolezza che se si mette a fondamento della propria esistenza un altro, che sia un padre che è un diavolo o il migliore dei re, comunque si perde la propria vita. L’angelo aiuta la fanciulla a portare il bambino al seno, e finalmente può riconoscere e vivere desideri e bisogni propri.  Allora la rassegnazione svanisce, i miracoli si compiono: le mani ricrescono, la vita si risveglia, come fosse per la prima volta la conquista della posizione eretta. Per Drewermann questa fiaba  descrive “il vero miracolo della nostra vita”, ovvero la capacità di accogliere ciò che lui definisce “la grazia divina” nell’esistenza; un fenomeno soprannaturale. Fuori di ogni prospettiva esoteriologica,  il miracolo è la guarigione, e la guarigione è  sciogliere i conflitti psichici senza andare dannati o persi.  La fiaba insegna che la forza dell’ostacolo è il mezzo di cui la vita si serve perché ciascuno possa realizzare le sole nozze sacre: quelle con la propria anima.

“Jung diceva che le donne sofferenti di un complesso materno negativo falliscono spesso nella prima parte della loro vita da esse attraversata come in sogno. L’esistenza è per loro una fonte costante di sofferenza ed irritazione. Ma se riescono a superare il complesso, nella seconda metà della loro esistenza scoprono tutta la spontaneità e la giovinezza che sono loro mancate fino ad allora. Benché una parte della loro vita sua stata perduta, il suo significato è stato preservato.”

 

Le nozze mistiche.

Trascorrono sette anni, un numero magico che segna profondamente l’evoluzione di una donna, dalla nascita alla morte; il re, che per Jung rappresenta l’atteggiamento dominante della coscienza collettiva, è da sette anni alla ricerca della regina.
Dopo essere tornato dalla guerra ed essersi chiarito con la madre, egli è partito alla ricerca della moglie e del figlio, rifiutando il cibo e l’acqua e rimanendo in vita grazie ad una forza interiore che lo mantiene.
Giunto alla locanda, dove sette anni prima era giunta la moglie, accetta di dormire e si copre il volto con un velo. Al suo risveglio, nella sua stanza, ci sono una donna bellissima e uno splendido bambino. Egli non riconosce in quella giovane la fanciulla che sposò anni prima, non solo per via delle mani ricresciute ma perché ella non è più la fragile vagabonda costretta a rubare una pera per sfamarsi, non è più quella che il re conosceva, ella è divenuta saggia, è divenuta donna. La privazione di acqua e di cibo, a cui il re si è sottoposto, è un modo per l’uomo di soffrire e quindi di svilupparsi attraverso questa iniziazione, che sia il re che la fanciulla devono compiere nell’arco dei sette anni.

Il ricongiungimento sarà coronato da una nuova celebrazione delle nozze, poiché entrambi sono cambiati e mutati e quindi lo sarà anche il loro amore. Con questo nuovo matrimonio, avvenuto tra un femminile ed un maschile più consapevoli dopo le prove che li hanno portati ad essere più consapevoli di loro stessi, abbiamo la fine di questa fiaba che non è solamente una storia bensì un inno atto mostrare un istinto ferito, attraverso il quale bandiamo l’ingenuità per arrivare a conoscere e comprendere gli aspetti più profondi e significativi della psiche e dell’anima.

fonti: https://paveseggiando.wordpress.com/2018/05/04/la-fanciulla-senza-mani-la-donna-nella-fiaba-parte-seconda/

Bibliografia: Il femminile nella fiaba – Marie Louise vin Franz | Le fiabe del focolare – Fratelli Grimm | Donne che corrono coi lupi – Clarissa Pinkola EstésIl padre e